C’è sempre quel momento della vita in cui non puoi far niente, proprio niente. Devi stare scientemente e sapientemente inerte, quasi un mollusco spiaggiato senza appiglio roccioso.
Questo ‘forse’ non è un male. Scrivo ‘forse’, dal momento che uso questo articolo pressoché a mo’ di auto-convincimento: come una sorta di training letterario 2.0.
Ci sono situazioni di vita, ritornando sul tema, in cui non basta adoperarsi, non basta o vale a nulla dimenarsi senza alcuna soluzione di continuità. L’andirivieni sarebbe grottesco.
Per molti di noi dover star fermi ad aspettare è un supplizio alla ‘Tantalo’ e il sol pensiero che possa toccarci l’attesa ci spaventa.
Ricordate il giochino del silenzio a scuola elementare? Chi teneva in mano il gessetto poteva parlare, avendo solo la concessione di proferire il nome del fortunato in attesa: uno scolaro che aveva potere di scelta; venti o più compagnetti inermi come statue. Questo delle elementari non è mero esercizio: è vita.
A volte, anche nella fede, si deve attendere. In silenzio. Il nostro Sabato Santo.
Questo, dell’attendere, ci capita più volte nella vita… Anche più volte al giorno! Non sono momenti di sollazzo e riso: sono momenti di penosa fatica e di inattività attivata solo dalla pazienza.
Ecco la lungimiranza del saper attendere: conoscere il valore della pazienza, del patire-per qualcosa che ancora non è in esistere, non ci accade…
Pazienza lungimirante è la cifra di ogni pensare autentico. Di tutti coloro che vogliono essere sinceri con sé e con gli altri. Autentici, in una parola.
Chi ama il presente, vedendo in esso una briciola di futuro, impara a sperare e ad essere paziente.
Ecco il pensiero della sera. Da blogger vecchia maniera…
Buona serata.
Luca