Umiltà ed esaltazione: la costante della vita di Gesù e della sua predicazione. Lo stesso Evangelista Luca, ad esempio, usa la parola ‘analepsis’ (innalzato, portato su, rapito), per parlare della salita a Gerusalemme, la medesima che porterà il Rabbi di Galilea alla sua umiliazione più grande e alla sua esaltazione più grande e più, per noi, liberante.
Quando possiamo dunque dirci umili?
Umile è colui che rifiuta l’ultima parola orgogliosa in un dialogo: colui che fa un passo indietro.
Umile è colui che guarda al proprio limite, perdonando l’altrui.
Umile è colui che sa che, in questa vita, il tempo e, dunque, la possibilità di fare il bene sono circoscritti. Umile è colui che conosce, realisticamente, i limiti temporali. Umile è chi, altresì, sa che, nelle mani di Dio, tale limitazione temporale può diventare grazia, può divenire Kairòs.
Non a caso, il pubblicano della parabola, colui che si umilia, riesce a chiedere perdono, avendo contezza del proprio limite e della bontà di Dio.
Limite della creatura e bontà di Dio godono di radicata consapevolezza nella mente, nel pensiero, dell’umile.
Ecco una chiave di lettura al Vangelo di questa Domenica.
Luca Sc.