Catania, 16 novembre 2017
Accogliendo il messaggio di Papa Francesco di evangelizzare con la misericordia, noi cristiani veniamo in contatto con la profondità del mistero del Male, che, se illuminato dalla Grazia e dalla Carità, può essere trasformato in testimonianza e vocazione.
Ecco due testimonianze: un sacerdote, Padre Antonio Lovetere, e S. F., ex detenuto, ci mostrano il cammino di rinascita dal buio della colpa fino al reinserimento e all’impegno sociale.
Come è possibile mettere in pratica l’appello del Papa perché la pena del detenuto sia un momento di conversione?
Padre Antonio Lovetere: Il mondo carcerario, tramite la presenza di nuovi operatori, soprattutto di volontari, sta modificando lo stile educativo.
Non serve isolare chi ha sbagliato, ma permettere un reinserimento graduale nella società: se si classifica il detenuto come un caso senza speranza, tutti abbiamo fallito; c’è bisogno di una cultura dell’incontro, perché, mettendo in pratica quel “ero in carcere e mi avete visitato”, cresce sia il detenuto, sia chi si mette a disposizione perché non prevalga la cultura dello scarto, che è una delle cause principali dell’aumento della criminalità.
In che modo è vissuta dai detenuti l’esperienza del cammino penitenziale, offerto dalla Chiesa?
Padre Antonio Lovetere: La ricezione del perdono da parte della Chiesa, tramite un percorso di conversione, non sempre è compresa pienamente.
Spesso, manca, soprattutto nei primi tempi della detenzione, la coscienza del male compiuto e della sofferenza provocata nelle vittime.
Inoltre, la presenza di una religiosità solo devozionale, priva dell’impegno concreto, rende l’opera di evangelizzazione più difficile.
Solo la ricerca della prossimità e della comunione con il carcerato, che si vede accolto e sostenuto, può portare risultati di speranza.
Il Papa ha lanciato un appello per la concessione dell’amnistia ai carcerati: secondo te, è meglio un generale provvedimento di clemenza o un’applicazione completa della pena, accompagnata da percorsi di reinserimento?
Padre Antonio Lovetere: Stando a fianco dei carcerati, ho compreso che non esiste un’unica soluzione: alcuni vivono con disperazione la pena, e hanno bisogno di percorsi rieducativi più flessibili; altri accettano il carcere come una giusta riparazione; altri ancora sperano in provvedimenti di indulto o amnistia per ricominciare a delinquere.
In generale, credo che lo Stato non debba promuovere uno “svuotacarceri”, che giustificherebbe la delinquenza e minerebbe ancor di più la credibilità delle istituzioni, ma percorsi di reinserimento, che riconoscano e valorizzino la dignità della Persona.
[Nella seconda parte, giovedì prossimo, verrà pubblicata l’intervista a S. F.]
Andrea Miccichè